BARLETTI/WAAS GOES AMERICA

Auf Einladung des PushPush Arts Centers in Atlanta arbeiten wir vom 5. bis 15. Oktober mit Künstlern aus Atlanta/USA an unserer neuen Produktion “Medea-Prozess”

REZENSION “DAS LETZTE WORT” (L’ultima parola) Beckett/Handke in TdZ

(Recensione di “L’ultima parola” su Theater der Zeit)

Hier der Link zur Kritik: https://tdz.de/artikel/d9fabd9e-36e3-4cb2-9280-05b1084ffccb

(per la versione italiana scrollare giù)

Theaterdiscounter Berlino: Beckett interrogato da una donna

„L’ultima parola“ di Beckett e Handke („L’ultimo nastro di Krapp“ di Samuel Beckett, „Finché il giorno non vi separi“ di Peter Handke) – Regia Lea Barletti, Werner Waas, Scene Ivan Bazak, Sounddesign & musiche originali eseguite dal vivo Luca Canciello

di Thomas Irmer

Alla fine, e questo è significativo a più livelli e non solo per la naturale sequenza dei due monologhi, l’ultima parola ce l’ha la donna. La pièce di Handke, in opposizione o in risposta a „L’ultimo nastro di Krapp“, messa in scena per la prima volta nel 2008 alla Comédie de Valence quando il testo di Beckett aveva esattamente 50 anni, è una rarità sui palcoscenici dei teatri. Dopo la prima i due monologhi furono poi messi in scena da Jossi Wieler per Salzburger Festspiele con Nina Kunzendorf e André Jung. E mentre il Krapp di Beckett diventava sempre più un ruolo in cui brillare per vecchie star maschili (ai grandi attori d’un tempo come Martin Held, Bernhard Minetti, Klaus Maria Brandauer seguirono Otto Sander, Josef Bierbichler, per finire con Robert Wilson), la replica femminile di Handke rimase in gran parte inesplorata e praticamente mai recitata.

Ora il duo teatrale italo-tedesco Barletti/Waas ha osato a sua volta affrontare i due monologhi. Werner Waas è seduto su una sedia, vestito di un abito grigio sporco, reso rigido fino a sembrare una corteccia o un carapace, e mangia la prima banana. Niente nastri registrati, niente scrivania, niente scivoloni sulle bucce di banana. Tutto accade attraverso il pronunciare le didascalie davanti a una tenda grigia che circonda un piccolo rettangolo. Il testo propriamente parlato dal personaggio è piuttosto esiguo e in gran parte costituito da ricordi che Krapp riascolta dai suoi nastri registrati in forma di diario come da una sua seconda voce. La parola più ricorrente nelle didascalie è „pausa“. Per questa struttura Waas non ha altro a disposizione che le modulazioni della sua voce e l’espressione minimal-pantomimica delle sue mani – ma la sfida riesce! Per le uscite di Krapp sul fondo della scena per le sue bevute di Whisky, così come sono indicate nel testo, Waas conta i secondi che passano con le dita. Questo Krapp ridotto all’osso e più inconsueto di sempre affascina sul suo piccolo trono-sedia fino all’ultimo momento, quando resta in scena soltanto l’abito vuoto, dal quale Waas si sfila.

Poi cade, con un effetto clamoroso, il sipario grigio e si vede uno spazio vasto, con una tribuna di sedie vuote. In mezzo, Lea Barletti, microfono in mano, camicia blu e pantaloni eleganti, nel suo Italiano articolato in modo extra melodioso: Il mio gioco adesso! Luca Canciello sta seduto sul lato destro e produce dal vivo, seguendo il ritmo del testo, dei sound dissonanti, accompagnando così ciò che sulle prime sembra essere un attacco di Lea Barletti al vestito-scultura rimasto in scena.

Ma in fondo si tratta di altro.

Perché il personaggio di Handke non è quello, rimpianto con un senso di fallimento da Krapp nei suoi ricordi su nastro registrato, della donna amata, allora, nella barca, nel canneto. Ma è piuttosto una persona reale del teatro, o una attrice, che reagisce, con vitalità squisitamente femminile, a tutta quella tematica di Beckett-Krapp dello scrittore perso e senza successo, redatta da un outsider che più tardi sarebbe diventato famoso. Con il suo personale piacere per la lingua, lì dove Krapp da parte sua si attacca soltanto a singole parole quali „Bobiiina“ come a delle banane. È proprio ciò che Lea Barletti fa, nella sua lingua madre, dando così a tutta la messa in scena, nella sua struttura bilingue (con i sopratitoli d’obbligo), una forza enorme. Barletti guarda il pubblico raggiante e allo stesso tempo interrogativa. „Non ti saresti mai aspettato una risposta da parte mia? Nemmeno un’eco. Nemmeno un riverbero. Tu il suono, e io il riverbero.“ E suona come una domanda rivolta anche a tutta la tradizione del teatro tedesco fatta di vecchie star in ruoli in cui brillare.

Con „L’ultima parola“, la loro quinta messa in scena di testi di Handke, a Barletti/Waas è riuscita la più bella di tutte, poiché la più ricca di riferimenti nella sua bilingualità qui particolarmente efficace. In Germania nel prossimo futuro si potrà vedere a Landshut, in Italia a Genova, Torino e Pescara.

Pubblicato il 29.10.2024

Ein Artikel zur Arbeit von Barletti/Waas in Theater der Zeit 12/2022 (Un articolo su Barletti/Waas in Theater der Zeit)


Duettando con le lingue


La compagnia italo-tedesca Barletti/Waas e gli spettacoli bilingui di Peter Handke


Da quasi dieci anni, all’inizio dello Sprechstück (letteralmente: “pezzo parlato”) „Autodiffamazione“ del primo Peter Handke, entrano in scena nudi, incarnando così l’età infantile, innocente, ancora non ammaestrata da una lingua normativa. Poi si mettono dei vestiti neri, con i quali si materializzano questa donna e quest’uomo “formali”. Le frasi della loro confessione teatrale si fanno man mano più spietate, ma anche più assurde. Si viene creando un legame fra le due lingue, il tedesco e l’italiano, non solo nell’alternanza, ma proprio nel loro essere insieme, sia nel parlato che nella proiezione della lingua scritta. Ciò che ne risulta, come anche in altre produzioni del duo artistico, è una dinamica e una bellezza del tutto particolari.
Il duo italo-tedesco, da tempo anche coppia nella vita, ha trovato, da quando ha iniziato a girare fra l’Italia e la Germania con „Autodiffamazione“ – il debutto è stato nel 2013 a Roma – una precisa cifra stilistica per il proprio teatro. Un’intensità nell’ arte bilingue di recitare e nell’ uso sapiente della lingua, combinata con scenografie minime e con una vicinanza al pubblico che permette quasi di toccarsi, insieme a una presa in carico di testi della letteratura drammatica per i quali sentono l’urgenza impellente di portarli in scena. Nel solco di Handke seguono nel 2017 „Kaspar“ (anche questo portato in scena con due soli interpreti), nel 2021 l’opera monumentale „Attraverso i villaggi“ (insieme ad altri cinque attori/attrici scritturati) di cui curano entrambi la regia, e, per lo spazio pubblico, un altro Sprechstück, „Profezia“ (con un intero coro parlante, visto fra l’altro durante il Performing Arts Festival davanti al Rotes Rathaus, il municipio di Berlino)
Inoltre, testi di Herbert Achternbusch, Rainer Werner Fassbinder e Werner Schwab. Ultimamente una “Antigone“, raccontata, grazie a un’introduzione approfondita di tutto l’antefatto e dei vari spin off, in modo che poi si riesca a comprendere a fondo lo spettacolo, presentato nella traduzione anticheggiante di Hölderlin e nella traduzione moderna in lingua italiana di Fabrizio Sinisi. Come scenografia, soltanto un pannello sul quale Lea Barletti disegna, man mano che la spiegazione di Waas procede, pittogrammi e frecce che illustrano lo schema ramificato della storia, più due piccole colonne portanti due maschere arcaiche nelle quali sono nascoste delle casse per il sound di Luca Canciello.
Lo spettacolo può essere rappresentato, come ultimamente anche a Berlino, in forma di teatro da appartamento, ma funziona anche nei festival o, come spesso in Italia, può essere inserito nella stagione dei teatri senza grossi cambiamenti. A Berlino Barletti/Waas vengono programmati di solito dal Theaterdiscounter dove hanno appena presentato una retrospettiva con tre testi di Handke.
Barletti, nata nel 1967, proviene dalla scena off italiana e, oltre alla sua carriera di performer, scrive anche lei stessa testi teatrali. A Lecce, in Puglia, ha contribuito insieme al suo partner a dare vita ad un centro culturale multidisciplinare. Waas, nato nel 1963, è cresciuto nella Bassa Baviera, cosa che si può intuire facilmente dalla parlantina di questo figlio di insegnanti, con trauma pedagogico da lui stesso diagnosticato. Dagli anni 80 lavora in Italia, da dove tornava a più riprese anche in Germania, così ad esempio nel 2011 come “Fatzer” in una coproduzione fra la Volksbühne di Berlino e il Teatro Stabile di Torino.
Soltanto nel lavoro comune di Barletti e Waas si è però sviluppata quella commistione artistica delle loro lingue madri che oggi rappresenta il loro profilo estetico. Il pubblico non deve conoscere entrambe le lingue e può lo stesso sperimentare con godimento e profitto il loro essere in relazione. Soprattutto nei testi del primo Handke, che tematizzano il dominio della lingua stessa, risulta una dimensione linguistico-musicale fra un italiano femminile e un tedesco maschile – una percezione che viene naturalmente contrappuntata continuamente dagli stessi testi. Lo si può già intuire nel duplice titolo “Selbstbezichtigung/Autodiffamazione” – per poi percepire e comprendere la messa in scena con tutti i sensi a disposizione. Una forma molto particolare e intima di teatro internazionale.
(Thomas Irmer)

Un bellissimo e attento sguardo sul nostro “Parla, Clitemnestra!”

ad opera di un giornalista tenuto a restare anonimo perché da contratto non può firmare pezzi che la sua testata non ha richiesto.

Bari, 30 settembre 2023, Chiesa di S. Gaetano

“Parla, Clitemnestra! – Un’eterna tragedia”, in versi, di Lea Barletti

con Lea Barletti e Gabriele Benedetti, regia di Werner Waas.

Dopo lo spettacolo, lo stretto plinto che gli attori hanno usato come palco è coperto di un velo di polvere. Sul piano lucido e nero si distinguono le scie semicircolari tracciate dai piedi nudi di Clitemnestra e Agamennone, che si sono parlati e sfiorati a lungo (sfiorati, anche abbracciati, ma soprattutto sfiorati data l’esiguità dello spazio). Quella che potrebbe sembrare calce sfarinata e planata dal soffitto, sono invece scaglie di cerone, che gli attori avevano spalmato sulla pelle e sui capelli. Nella scena, si sono mossi come figure di stucco improvvisamente animate. Un risveglio (reale o sognato?) che per Clitemnestra è l’occasione per evadere dai ruoli assegnati finora dal padre, dai mariti, dallo stesso drammaturgo. Nello spazio di questo copione, l’eroina dunque riscrive il suo destino e ribalta i canoni narrativi, quanto basta per dare alla protagonista una voce inedita. Come se la parte più autentica di questa donna finora avesse taciuto, o pronunciato parole non sue. 

Le pareti della chiesa di San Gaetano a Bari Vecchia sono un teatro di ombre. La sagoma dell’attrice si distingue sui muri, proiettata dalle torce elettriche fornite al pubblico. Senza lo spettatore, Clitemnestra avrebbe parlato in una sala buia. 

Il dialogo con Agamennone in effetti è intimo, precisamente coniugale. Il sovrano, il guerriero, è nudo salvo un lenzuolo bianco. Le insegne del potere e della gerarchia marziale sono rimasti fuori dalla stanza. Eppure, questa stanza è un teatro di passioni. La morte sembra aleggiare sopra le nostre teste. Come minaccia, come orizzonte, come cosa tra le cose. Intatta è la rabbia di Clitemnestra verso il marito (più volte assassino, più volte ai danni della sua “unica donna”). La pelle brucia sotto il bianco, muove i corpi e li induce a torsioni continue, sempre scomode. Sono le parole a scolpire in continuità le uniche forme dell’azione. I nomi che diamo alle cose, sembra spiegare la protagonista, ne decidono la sostanza. Così funziona, forse, la coscienza. Le parole attivano una catena di riflessioni, esitazioni, deliberazioni. A partire da certe sue parole, la protagonista deciderà così la sorte del marito, potente sovrano.  

A determinare la realtà rappresentata è anche lo spettatore. Puntando le luci verso gli attori, il pubblico guida lo sguardo. Ciascun fascio di luce indica anche agli altri spettatori, li interroga: “Che dite, è qui che bisogna guardare adesso?”, poi Clitemnestra lo dice: gli eventi che osserviamo sono determinati dalla nostra presenza. Lo spettatore, quindi, non è mai estraneo. Anzi, lo spettatore crea attivamente i fenomeni che propone alla propria coscienza.

L’esperienza dunque è collettiva. Uno spettatore si domanderà come mai l’estraneo seduto dall’altra parte della sala abbia deciso di illuminare quella spalla, quello zigomo, magari lasciando in ombra un altro sguardo, un’altra mano. Un altro spettatore con la sua torcia tenterà di rimediare, mentre il copione scorre. La parola libera di Clitemnestra illumina le sue intenzioni, rompe l’ombra del cuore. Non solo la scena è esplicitamente interattiva: lo diventa anche il dialogo tra gli spettatori. Sottolineo “esplicitamente”: finora abbiamo dialogato con gli estranei della platea attraverso segnali più discreti, subliminali. Ci siamo esposti ai sospiri, ai colpi di tosse, alle suonerie distrattamente attivate, ma anche ai segnali più sottili, le vibrazioni olfattive che il cervello registra e trasforma in emozioni che la coscienza non sa spiegare. Entrando in una sala, condividendo il buio artificiale con un gruppo di estranei, ci esponiamo a un contagio emotivo che è pura biologia. Di più: mettiamo in gioco il nostro vissuto, le nostre emozioni, i nostri umori. Il corpo di uno spettatore lavora sempre. La scelta del regista, suggerita dalle parole di Clitemnestra, porta alla ribalta anche noi spettatori. Forse non è un caso che ciò avvenga dopo il digiuno imposto dalla pandemia.

26 maggio 23 Tedx Conference di Lea Barletti a Lecce

https://www.tedxunisalento.org/speakers/lea-barletti-tedx/?fbclid=IwAR0LwUbswO3TMRd42ChbrRR20m-K1a0TUosLPgI2LQ6HihMl1150sLQIAtw

Lea Barletti
 Lo spazio tra (ovvero, uno spettacolo vivo)

Lo spettacolo sta per iniziare. Gli spettatori hanno fatto il biglietto, sono entrati in teatro, si sono accomodati sulle poltrone pronti ad assistere a uno spettacolo che avviene proprio in quel luogo, e in quel momento, uno spettacolo, dunque, “dal vivo”. Gli attori hanno imparato il testo a memoria, entrano in scena, recitano, “dal vivo”. Quello a cui gli spettatori assistono, adesso, è dunque a tutti gli effetti uno spettacolo “dal vivo”. Ma è anche uno spettacolo “vivo”? Dov’è la differenza? E cosa fa di uno spettacolo “dal vivo” uno spettacolo “vivo”?

Biografia

Attrice, autrice e performer italiana; attualmente vive e lavora a Berlino assieme a Werner Waas, con il nome “Barletti/Waas”. Le loro ultime produzioni, Selbstbezichtigung/Autodiffamazione di P. Handke, in versione bilingue italo/tedesca, Kaspar (in lingua tedesca) di P. Handke, Monologo della buona madre di L. Barletti, Parla, Clitemnestra! di L. Barletti, sono rappresentate sia in Italia che in Germania.
Oltre che di testi teatrali è autrice anche di poesie e racconti. Un suo libro di racconti, “Libro dei dispersi e dei ritornati”, è stato pubblicato nel 2018 da Musicaos Ed.