DAS LETZTE WORT – al TD Berlin 25.-27. Okt

(für italienisch und weitere Infos bitte nach unten scrollen – per l’italiano e ulteriori notizie scrollare verso il basso)

Becketts “Das letzte Band” und Handkes “Bis dass der Tag Euch scheidet” von Barletti/Waas

25. Okt Fr, 20:00; 26 Okt Sa, 20:00; 27. OKT So, 20:00

https://tdberlin.reservix.de/p/reservix/group/478107

Kartenpreise 25€ / 15€ / 10€ (Solidarisches Preissystem) TD Berlin, Klosterstr. 44 10179 Berlin, Tel: +49 (30) 28093062

Email: info@td.berlin, https://td.berlin/ ; www.barlettiwaas.eu

                                                                                                                                                                                                                                                          (Foto: P. Costantini)(scorrere in basso per l’italiano)

Die Konfrontation von zwei konträren Sprachkunstwerken – Samuel Becketts perfektem Uhrwerk in „Das letzte Band” und Peter Handkes postdramatischem Echo darauf „Bis dass der Tag euch scheidet oder Eine Frage des Lichts” – ist ein Dialog zwischen zwei Welten: Virtuosität, Weltverneinung und manische Kontrolle treffen auf Lebensfreude, Mut zum Irrtum und leidenschaftliche Empörung. Charakter versus Person, Schauspiel versus Performance, Perfektion versus Improvisation. Wer hat das letzte Wort?

Zwei Texte, die in allem weit voneinander entfernt sind, stehen in zeitlicher Verzögerung in Dialog miteinander: Krapps Ego wird zerlegt von seinem weiblichen Widerhall, der namenlosen Frau, die er selbst im Verlauf seiner obsessiven Wiederholungen heraufbeschworen hat. Welche Möglichkeiten des Perspektivwechsels öffnet uns diese Frau, die, nachdem sie Krapp im Schatten zuhörte, endlich das Wort ergreift? Ist es wirklich notwendig, dass jemand das letzte Wort hat? „Im Arabischen haben ,Herz‘ und ,Position wechseln‘ die gleiche Wurzel”, sagt sie.

Mit Lea Barletti / Werner Waas Regie Barletti/Waas Sound Design / Live-Musik Luca Canciello Bühne Ivan Bazak Regieassistent Paolo Costantini Produktion Barletti/Waas / TPE Fondazione Teatro Piemonte Europa / Teatro della Tosse/Genua / Florian Metateatro/Pescara Unterstützung Goethe Institut Culture Moves Europe / CSS Teatro stabile di innovazione del FVG im Rahmen des Residenzprogramms in der Villa Manin / Itz Berlin e.V. / TD Berlin

Lea Barletti und Werner Waas haben als Compagnie Induma Teatro zusammengearbeitet und waren an der Entstehung des multidisziplinären Kulturzentrums Manifatture Knos in Lecce, Italien, beteiligt, bevor sie 2012 die Compagnie Barletti/Waas gründen und sich vor allem mit den Arbeiten von Peter Handke beschäftigen. Zahlreiche gemeinsame Arbeiten und Projekte u.a. am TD Berlin Selbstbezichtigung/Handke, Rom/Berlin 2013; Kaspar/Handke, Berlin 2017. Ashes to Ashes/Barletti, Berlin 2019, Monologo della buona madre/Barletti, Rom 2020; Antigone/Sophokles, Berlin 2020. Ihr Handke-Repertoire wird durch die Inszenierung Über die Dörfer, Berlin 2021, bereichert. www.barlettiwaas.eu

L’ULTIMA PAROLA

Beckett e Handke di Barletti/Waas

25 – 26 –  27 ottobre ore 20

Il confronto tra due diversi e opposti capolavori, tra il perfetto meccanismo ad orologeria de “L’ultimo nastro di Krapp” di Beckett e la sua “eco” postdrammatica ”Finché il giorno non vi separi ovvero una questione di luce” di Handke, è un dialogo tra due mondi: virtuosismo, negazione del mondo e controllo maniacale, incontrano vitalità, coraggio di sbagliare e indignazione appassionata. Personaggio vs persona, recitazione vs performance, perfezione verso improvvisazione. Chi avrà l’ultima parola?

Due testi lontani in tutto e per tutto, si incontrano e dialogano in differita: l’ego di Krapp viene contestato dalla sua eco femminile, “la donna senza nome”, da lui stesso evocata nella propria ossessiva ripetizione. Quale possibie cambio di prospettiva ci offre questa donna che, dopo aver ascoltato nell’ombra il monologo di Krapp, prende finalmente la parola? Ed è davvero necessario che qualcuno abbia l’ultima parola? In arabo, “cuore” e “cambiare posizione”hanno la stessa radice, dice la donna.

Con Lea Barletti / Werner Waas Regia Barletti/Waas Sound Design / Musiche originali dal vivo Luca Canciello Scene Ivan Bazak Assistente alla regia Paolo Costantini Produzione Barletti/Waas / TPE Fondazione Teatro Piemonte Europa / Teatro della Tosse/Genova / Florian Metateatro/Pescara Con il sostegno di Goethe Institut Culture Moves Europe / CSS Teatro stabile di innovazione del FVG nell’ambito del programma di Residenze a Villa Manin / Itz Berlin e.V. / TD Berlin

Lea Barletti e Werner Waas lavorano insieme da più di vent’anni, dapprima come Compagnia Induma Teatro, con la quale sono stati tra i fondatori del Centro culturale multidisciplinare Manifatture Knos (Lecce), in seguito, a partire dal 2012, come Barletti/Waas, dedicandosi soprattutto a lavori di drammaturgia contemporanea, in particolare di Peter Handke. Numerose le loro produzioni, alcune strutturate in maniera bilingue, tra le quali ricordiamo “Autodiffamazione” di P. Handke (2013), “Monologo della buona madre” (2016), “Kaspar” di P. Handke (2017) , “Ashes to ashes” di L. Barletti (2019), ,”Antigone” di Sofocle (2020), “Attraverso i villaggi” di P. Handke (2021), “Parla, Clitemnestra!” (2022) www.barlettiwaas.eu

Weitere News / Altre notizie

Vom 4. – 15. November sind Barletti/Waas für eine Künstlerresidenz in Atlanta/USA auf Einladung des PushPush Arts Center. Wir beginnen dort mit der Arbeit an unserem neuen Projekt “Medea-Process” gemeinsam mit ca. 20 Künstlern aus Atlanta und den USA.

Dal 4 al 15 novembre Barletti/Waas saranno ad Atlanta/USA per una residenza artistica su invito del PushPush Arts Center. Inizieremo a lavorare sul nostro nuovo progetto dal titolo “Medea-Process” insieme a ca 20 artisti di Atlanta e degli USA.

Ein Artikel zur Arbeit von Barletti/Waas in Theater der Zeit 12/2022 (Un articolo su Barletti/Waas in Theater der Zeit)


Duettando con le lingue


La compagnia italo-tedesca Barletti/Waas e gli spettacoli bilingui di Peter Handke


Da quasi dieci anni, all’inizio dello Sprechstück (letteralmente: “pezzo parlato”) „Autodiffamazione“ del primo Peter Handke, entrano in scena nudi, incarnando così l’età infantile, innocente, ancora non ammaestrata da una lingua normativa. Poi si mettono dei vestiti neri, con i quali si materializzano questa donna e quest’uomo “formali”. Le frasi della loro confessione teatrale si fanno man mano più spietate, ma anche più assurde. Si viene creando un legame fra le due lingue, il tedesco e l’italiano, non solo nell’alternanza, ma proprio nel loro essere insieme, sia nel parlato che nella proiezione della lingua scritta. Ciò che ne risulta, come anche in altre produzioni del duo artistico, è una dinamica e una bellezza del tutto particolari.
Il duo italo-tedesco, da tempo anche coppia nella vita, ha trovato, da quando ha iniziato a girare fra l’Italia e la Germania con „Autodiffamazione“ – il debutto è stato nel 2013 a Roma – una precisa cifra stilistica per il proprio teatro. Un’intensità nell’ arte bilingue di recitare e nell’ uso sapiente della lingua, combinata con scenografie minime e con una vicinanza al pubblico che permette quasi di toccarsi, insieme a una presa in carico di testi della letteratura drammatica per i quali sentono l’urgenza impellente di portarli in scena. Nel solco di Handke seguono nel 2017 „Kaspar“ (anche questo portato in scena con due soli interpreti), nel 2021 l’opera monumentale „Attraverso i villaggi“ (insieme ad altri cinque attori/attrici scritturati) di cui curano entrambi la regia, e, per lo spazio pubblico, un altro Sprechstück, „Profezia“ (con un intero coro parlante, visto fra l’altro durante il Performing Arts Festival davanti al Rotes Rathaus, il municipio di Berlino)
Inoltre, testi di Herbert Achternbusch, Rainer Werner Fassbinder e Werner Schwab. Ultimamente una “Antigone“, raccontata, grazie a un’introduzione approfondita di tutto l’antefatto e dei vari spin off, in modo che poi si riesca a comprendere a fondo lo spettacolo, presentato nella traduzione anticheggiante di Hölderlin e nella traduzione moderna in lingua italiana di Fabrizio Sinisi. Come scenografia, soltanto un pannello sul quale Lea Barletti disegna, man mano che la spiegazione di Waas procede, pittogrammi e frecce che illustrano lo schema ramificato della storia, più due piccole colonne portanti due maschere arcaiche nelle quali sono nascoste delle casse per il sound di Luca Canciello.
Lo spettacolo può essere rappresentato, come ultimamente anche a Berlino, in forma di teatro da appartamento, ma funziona anche nei festival o, come spesso in Italia, può essere inserito nella stagione dei teatri senza grossi cambiamenti. A Berlino Barletti/Waas vengono programmati di solito dal Theaterdiscounter dove hanno appena presentato una retrospettiva con tre testi di Handke.
Barletti, nata nel 1967, proviene dalla scena off italiana e, oltre alla sua carriera di performer, scrive anche lei stessa testi teatrali. A Lecce, in Puglia, ha contribuito insieme al suo partner a dare vita ad un centro culturale multidisciplinare. Waas, nato nel 1963, è cresciuto nella Bassa Baviera, cosa che si può intuire facilmente dalla parlantina di questo figlio di insegnanti, con trauma pedagogico da lui stesso diagnosticato. Dagli anni 80 lavora in Italia, da dove tornava a più riprese anche in Germania, così ad esempio nel 2011 come “Fatzer” in una coproduzione fra la Volksbühne di Berlino e il Teatro Stabile di Torino.
Soltanto nel lavoro comune di Barletti e Waas si è però sviluppata quella commistione artistica delle loro lingue madri che oggi rappresenta il loro profilo estetico. Il pubblico non deve conoscere entrambe le lingue e può lo stesso sperimentare con godimento e profitto il loro essere in relazione. Soprattutto nei testi del primo Handke, che tematizzano il dominio della lingua stessa, risulta una dimensione linguistico-musicale fra un italiano femminile e un tedesco maschile – una percezione che viene naturalmente contrappuntata continuamente dagli stessi testi. Lo si può già intuire nel duplice titolo “Selbstbezichtigung/Autodiffamazione” – per poi percepire e comprendere la messa in scena con tutti i sensi a disposizione. Una forma molto particolare e intima di teatro internazionale.
(Thomas Irmer)

Un bellissimo e attento sguardo sul nostro “Parla, Clitemnestra!”

ad opera di un giornalista tenuto a restare anonimo perché da contratto non può firmare pezzi che la sua testata non ha richiesto.

Bari, 30 settembre 2023, Chiesa di S. Gaetano

“Parla, Clitemnestra! – Un’eterna tragedia”, in versi, di Lea Barletti

con Lea Barletti e Gabriele Benedetti, regia di Werner Waas.

Dopo lo spettacolo, lo stretto plinto che gli attori hanno usato come palco è coperto di un velo di polvere. Sul piano lucido e nero si distinguono le scie semicircolari tracciate dai piedi nudi di Clitemnestra e Agamennone, che si sono parlati e sfiorati a lungo (sfiorati, anche abbracciati, ma soprattutto sfiorati data l’esiguità dello spazio). Quella che potrebbe sembrare calce sfarinata e planata dal soffitto, sono invece scaglie di cerone, che gli attori avevano spalmato sulla pelle e sui capelli. Nella scena, si sono mossi come figure di stucco improvvisamente animate. Un risveglio (reale o sognato?) che per Clitemnestra è l’occasione per evadere dai ruoli assegnati finora dal padre, dai mariti, dallo stesso drammaturgo. Nello spazio di questo copione, l’eroina dunque riscrive il suo destino e ribalta i canoni narrativi, quanto basta per dare alla protagonista una voce inedita. Come se la parte più autentica di questa donna finora avesse taciuto, o pronunciato parole non sue. 

Le pareti della chiesa di San Gaetano a Bari Vecchia sono un teatro di ombre. La sagoma dell’attrice si distingue sui muri, proiettata dalle torce elettriche fornite al pubblico. Senza lo spettatore, Clitemnestra avrebbe parlato in una sala buia. 

Il dialogo con Agamennone in effetti è intimo, precisamente coniugale. Il sovrano, il guerriero, è nudo salvo un lenzuolo bianco. Le insegne del potere e della gerarchia marziale sono rimasti fuori dalla stanza. Eppure, questa stanza è un teatro di passioni. La morte sembra aleggiare sopra le nostre teste. Come minaccia, come orizzonte, come cosa tra le cose. Intatta è la rabbia di Clitemnestra verso il marito (più volte assassino, più volte ai danni della sua “unica donna”). La pelle brucia sotto il bianco, muove i corpi e li induce a torsioni continue, sempre scomode. Sono le parole a scolpire in continuità le uniche forme dell’azione. I nomi che diamo alle cose, sembra spiegare la protagonista, ne decidono la sostanza. Così funziona, forse, la coscienza. Le parole attivano una catena di riflessioni, esitazioni, deliberazioni. A partire da certe sue parole, la protagonista deciderà così la sorte del marito, potente sovrano.  

A determinare la realtà rappresentata è anche lo spettatore. Puntando le luci verso gli attori, il pubblico guida lo sguardo. Ciascun fascio di luce indica anche agli altri spettatori, li interroga: “Che dite, è qui che bisogna guardare adesso?”, poi Clitemnestra lo dice: gli eventi che osserviamo sono determinati dalla nostra presenza. Lo spettatore, quindi, non è mai estraneo. Anzi, lo spettatore crea attivamente i fenomeni che propone alla propria coscienza.

L’esperienza dunque è collettiva. Uno spettatore si domanderà come mai l’estraneo seduto dall’altra parte della sala abbia deciso di illuminare quella spalla, quello zigomo, magari lasciando in ombra un altro sguardo, un’altra mano. Un altro spettatore con la sua torcia tenterà di rimediare, mentre il copione scorre. La parola libera di Clitemnestra illumina le sue intenzioni, rompe l’ombra del cuore. Non solo la scena è esplicitamente interattiva: lo diventa anche il dialogo tra gli spettatori. Sottolineo “esplicitamente”: finora abbiamo dialogato con gli estranei della platea attraverso segnali più discreti, subliminali. Ci siamo esposti ai sospiri, ai colpi di tosse, alle suonerie distrattamente attivate, ma anche ai segnali più sottili, le vibrazioni olfattive che il cervello registra e trasforma in emozioni che la coscienza non sa spiegare. Entrando in una sala, condividendo il buio artificiale con un gruppo di estranei, ci esponiamo a un contagio emotivo che è pura biologia. Di più: mettiamo in gioco il nostro vissuto, le nostre emozioni, i nostri umori. Il corpo di uno spettatore lavora sempre. La scelta del regista, suggerita dalle parole di Clitemnestra, porta alla ribalta anche noi spettatori. Forse non è un caso che ciò avvenga dopo il digiuno imposto dalla pandemia.

26 maggio 23 Tedx Conference di Lea Barletti a Lecce

https://www.tedxunisalento.org/speakers/lea-barletti-tedx/?fbclid=IwAR0LwUbswO3TMRd42ChbrRR20m-K1a0TUosLPgI2LQ6HihMl1150sLQIAtw

Lea Barletti
 Lo spazio tra (ovvero, uno spettacolo vivo)

Lo spettacolo sta per iniziare. Gli spettatori hanno fatto il biglietto, sono entrati in teatro, si sono accomodati sulle poltrone pronti ad assistere a uno spettacolo che avviene proprio in quel luogo, e in quel momento, uno spettacolo, dunque, “dal vivo”. Gli attori hanno imparato il testo a memoria, entrano in scena, recitano, “dal vivo”. Quello a cui gli spettatori assistono, adesso, è dunque a tutti gli effetti uno spettacolo “dal vivo”. Ma è anche uno spettacolo “vivo”? Dov’è la differenza? E cosa fa di uno spettacolo “dal vivo” uno spettacolo “vivo”?

Biografia

Attrice, autrice e performer italiana; attualmente vive e lavora a Berlino assieme a Werner Waas, con il nome “Barletti/Waas”. Le loro ultime produzioni, Selbstbezichtigung/Autodiffamazione di P. Handke, in versione bilingue italo/tedesca, Kaspar (in lingua tedesca) di P. Handke, Monologo della buona madre di L. Barletti, Parla, Clitemnestra! di L. Barletti, sono rappresentate sia in Italia che in Germania.
Oltre che di testi teatrali è autrice anche di poesie e racconti. Un suo libro di racconti, “Libro dei dispersi e dei ritornati”, è stato pubblicato nel 2018 da Musicaos Ed.