musiche originali eseguite dal vivo: Luca Canciello
scene e costumi: Ivan Bazak
aiuto regia: Paolo Costantini
una produzione Barletti/Waas, Fondazione TPE (Teatro Piemonte Europa), Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, Florian Metateatro, TD-Berlin
con il sostegno di Goethe Institut Culture Moves Europe / CSS Teatro stabile di innovazione del FVG / Itz Berlin e.V.
Thomas Irmer -Theater der Zeit:[…] Questo Krapp ridotto all’osso e più inconsueto di sempre affascina sul suo piccolo trono-sedia fino all’ultimo momento […] Con „L’ultima parola“, la loro quinta messa in scena di testi di Handke, a Barletti/Waas è riuscita la più bella di tutte, poiché la più ricca di riferimenti […] https://tdz.de/artikel/d9fabd9e-36e3-4cb2-9280-05b1084ffccb
Maria Dolores Pesce – Sipario[…] Quello messo in scena dai due, con l’importante ausilio della bella musica dal vivo di Luca Canciello, è uno spettacolo […] profondo, intenso e talora perturbante, creativamente enigmatico nel senso etimologico per cui l’enigma è la risposta stessa a noi affidata per essere svelata, è la verità nella sua forma più sincera e umana. […]https://www.sipario.it/recensioniprosau/item/16452-ultima-parola-l-regia-lea-barletti-e-werner-waas.html
Enrico Pastore – Paneacquaculture[…] La donna sconosciuta è legata a Krapp, così come Krapp è avvinto a lei. Non possono lasciarsi. Lui la evoca, lei parla con il suo fantasma, con il manichino dei suoi vestiti abbandonato in scena sulla sedia. Uno non vive senza l’altra. Ordine e caos, improvvisazione e riproducibilità, in perpetuo dialogo. Forse, è questa la chiave di questa strana creatura scenica: come nelle dispute filosofiche tibetane, tesi e antitesi hanno la stessa consistenza del fumo. Bianco e nero sono uno l’eco dell’altro, e il loro dialogo consiste nel vicendevole trascolorare.[…]https://www.paneacquaculture.net/2025/05/27/lultima-parola-librida-creatura-di-barletti-waas/
Davide Maria Azzarello – Modulaztioni temporali[…] Anche le espressioni facciali [di Waas] sono emblematiche, ma decifrabili? Il personaggio riflette, quindi il personaggio/l’attore corruga la fronte e converge le pupille con fare parodico. Tagliente. Fa male ma non so perché. Forse perché non voglio essere come lui. Forse perché sono come lui. […]
Lea Barletti ha una presenza scenica raggiante […] mentre si muove per il palco con energia sabbatica accompagnata dalle musiche di Luca Canciello. Un’attrice e performer potente, che crea un effetto perturbante perché composita riesce al contempo a tirar fuori carica apocalittica, straniante nel suo apparire dapprima seduta con i piedi poggiati sul posto a sedere davanti, e poi prendere possesso di tutta la scena. Una pièce teatrale e anche musicale, che ricorda un cabaret alienato con echi dadaisti. https://theclerks.it/arte/lultima-parola-al-teatro-astra/
(Foto: Paolo Costantini)
Barletti/Waas, noti per i loro lavori intensi sui testi di Handke, mettono a confronto in una sorta di “duello” attraverso due testi dei grandi maestri Beckett e Handke, un personaggio (Krapp de L’ultimo nastro di Krapp) e una persona (la donna senza nome di Finché il giorno non vi separi).
La recitazione incontra la performance, il passato incontra il presente, l’arte di recitare incontra quella di improvvisare, una pausa artistica (artificiale?) incontra una pausa di riflessione (naturale?), la precisione di una partitura testuale incontra l’imprevedibilità di un’improvvisazione musicale. Un unico spettacolo per due testi diversi, due performance, due monologhi lontanissimi in tutto, che, giocati uno di seguito all’altro come in un dialogo (così Handke ha concepito il suo testo, ancora mai rappresentato in Italia: come un’eco, una risposta al famoso testo di Beckett), permettono un confronto su potere, sovranità narrativa, memoria e trasfigurazione fittizia, dove i confini tra realtà e rappresentazione si confondono.
Chi avrà l’ultima parola? Ma soprattutto: è davvero necessario che qualcuno ce l’abbia?
Note di regia
“Personaggio” vs “persona”, “recitazione” vs “performance”, “perfezione” vs “esplorazione”, “partitura” vs “improvvisazione”…
Il formidabile meccanismo ad orologeria, l’incredibile macchina celibe creata da Beckett e l’eco postdrammatica di Handke al testo di Beckett, portati a confronto diretto, mettono in dialogo due mondi: virtuosismo, negazione del mondo e controllo maniacale incontrano voglia di vivere, coraggio di sbagliare e appassionata indignazione. L’ego-shooter Krapp viene smontato poco a poco dalla sua “eco”. La donna senza nome che Krapp evoca ai margini della propria ossessiva riproduzione/ripetizione prende finalmente la parola nel testo di Handke, nel qui e ora che attori e spettatori condividono, portando alla luce e rivelando la rigidità degli schemi in cui tutti, e non solo Krapp, siamo intrappolati.
Abbiamo creato una messa in scena che, come un gioco di scatole cinesi, prima restringe e concentra l’attenzione attraverso l’estrema riduzione dei mezzi teatrali della prima piéce, per poi allargare e quasi “disfare” lo spazio della visone e dell’ascolto nella performance aperta all’improvvisazione vocale e musicale dei due performer, attrice e musicista, della seconda.
Attraverso due differenti modi dell’agire teatrale, si rendono così visibili conflitti di potere, narrazione e finzione. Come funziona una verità faccia a faccia con un’altra?
Come nasce un dialogo? Chi avrà l’ultima parola? L’attore di Beckett o la donna senza nome di Handke? Ed è davvero necessario che qualcuno abbia l’ultima parola?
Quale possibilità si nasconde in questa persona, che dopo aver ascoltato nell’ombra l’ennesima ripetizione di Krapp, prende finalmente la parola? È davvero la possibilità di una nuova narrazione della realtà o semplicemente il suo riverbero, la sua “eco”?
Il “piccolo dramma” di Handke è un capovolgimento della logica che governa il “gran teatro del mondo”, o semplicemente un altro punto di vista su quello stesso “gran teatro”? “Cuore” e “cambiare posizione”, in arabo, hanno la stessa radice, dirà la donna senza nome. Non è abbastanza, forse, ma è un inizio.
con il sostegno di Florian Metateatro e Consorzio Altre Produzioni Indipendenti
foto di Luciano Onza
Clitemnestra è uno dei tanti “danni collaterali” della gloriosa Storia degli uomini, nello specifico la guerra di Troia, con i suoi eroi (maschi), perdenti o vincitori che siano, e le sue vittime sacrificali (donne, bambini) che assurgono agli onori di quella stessa storia grazie al proprio sacrificio (Ifigenia, per esempio).
Clitemnestra, nota prima come moglie fedifraga e assassina di Agamennone, poi in quanto vittima del matricidio che il figlio Oreste compirà per vendicare la morte del padre, non merita invece che le si intitoli una tragedia. La sua storia? Non pervenuta.
È il momento dunque di far parlare Clitemnestra, e di ascoltarla. Intrappolata in un ruolo, in un nome, in un personaggio, cerca un’altra via, un’altra possibile rappresentazione di sé stessa, un’altra storia. Il suo antagonista, Agamennone, è anche lui intrappolato in un ruolo, in un nome, in un personaggio. Fin quando Clitemnestra e Agamennone non deporranno definitivamente le maschere insite nei propri nomi, nessun dialogo sarà possibile. Questa è l’unica certezza cui, attraverso un percorso pieno di dubbi e domande, giungerà Clitemnestra. E Agamennone?
Note di regia
Su di un piedistallo al centro dello spazio scenico, due corpi imbiancati e polverosi come antiche statue, un uomo e una donna, seduti vicini a formare una sorta di gruppo marmoreo: Clitemnestra e Agamennone. Gli spettatori prendono posto tutt’intorno. Su alcune sedie sono appoggiate delle piccole torce a fascio strettissimo. Attraverso queste torce, saranno infatti gli spettatori a illuminare lo spettacolo: a scegliere cosa vedere, scrutando i dettagli, le minuscole reazioni dei corpi/statua, le espressioni, le esitazioni, i lenti movimenti. Il pubblico partecipa in questo modo alla narrazione: è responsabile di quello che vede e di quello che vedono gli altri. Se improvvisamente tutti gli spettatori muniti di torcia dovessero decidere di non illuminare gli attori, lo spettacolo continuerebbe al buio e nessuno vedrebbe più niente, poiché non ci sono altre fonti di luce. Perché questa è una storia di tutti, una storia collettiva, nessuno se ne può dire fuori, questa è una storia che abbiamo scritto insieme e alla cui responsabilità non si sfugge. La presenza degli spettatori è una presenza/testimonianza che modifica e influenza l’azione in scena, sceglie, decide cosa guardare e cosa no, cosa sottolineare e cosa trascurare, decide cosa è importante e cosa non lo è e può quindi essere lasciato al buio, ai margini. Ad un certo punto poi, a tre quarti dello spettacolo, finalmente arriva la luce, una luce per tutti e su tutti, attori e spettatori: ci ritroviamo nel presente, nello stesso spazio, senza più maschere né un altrove, senza eroi né profeti. Ci si guarda in faccia: è ora di cambiare.
Il testo dello spettacolo è in versi, in gran parte in rima baciata. Nella “gabbia” della rima, quasi ossessiva con il suo ritmo e i suoi continui rimandi, il testo, un pamphlet femminista, addomestica la sua furia e acquista paradossalmente libertà e leggerezza, con un’autoironia che sorprende continuamente attori e spettatori, in un gioco quasi infantile alla riscoperta del potere delle parole.
È tutto già scritto: la storia, i suoi protagonisti e le figure che restano ai margini, la guerra e le sue vittime, la ragion di stato, i ruoli prestabiliti, le gabbie del pensiero, il gioco tra le parti, il patriarcato, la legge del più forte, l’incapacità di un pensiero critico, il peso del passato, i dettami delle mode o delle religioni, la violenza dei rapporti. Dove trovare una via di fuga?
Forse l’unica possibilità sta proprio nello scarto fra ciò che si pensa, ciò che si sente e ciò che si pronuncia: qui si articola un nostro spazio di libertà. Così è stato per duemila anni o più fra uomini e donne, sempre gli stessi versi, le stesse “rime”, le stesse scuse e accuse, e così nella gestione del potere, gli stessi schemi, le stesse guerre, l’utilizzo della religione, gli stessi stratagemmi, le “eterne scuse del potere”, come dirà Clitemnestra. Un meccanismo infernale all’interno del quale siamo imprigionati e immobili come statue.
Siamo gli ultimi abitanti di questo antico e terrificante edificio e abbiamo il dovere di fare uno scarto. In questo scarto Clitemnestra ci guida attraverso un lento e doloroso processo di presa di coscienza. Le parole si scostano pian piano dal tracciato stabilito, emergono a fatica dal buio della storia. Adesso tocca a noi prendere la parola: che fare?
musiche originali eseguite dal vivo: Luca Canciello
scene e costumi: Ivan Bazak
aiuto regia: Paolo Costantini
una produzione Barletti/Waas, Fondazione TPE (Teatro Piemonte Europa), Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, Florian Metateatro, TD-Berlin
con il sostegno di Goethe Institut Culture Moves Europe / CSS Teatro stabile di innovazione del FVG / Itz Berlin e.V.
[…] Questo Krapp ridotto all’osso e più inconsueto di sempre affascina sul suo piccolo trono-sedia fino all’ultimo momento […] Con „L’ultima parola“, la loro quinta messa in scena di testi di Handke, a Barletti/Waas è riuscita la più bella di tutte, poiché la più ricca di riferimenti […]
Barletti/Waas, noti per i loro lavori intensi sui testi di Handke, mettono a confronto in una sorta di “duello” attraverso due testi dei grandi maestri Beckett e Handke, un personaggio (Krapp de L’ultimo nastro di Krapp) e una persona (la donna senza nome di Finché il giorno non vi separi).
La recitazione incontra la performance, il passato incontra il presente, l’arte di recitare incontra quella di improvvisare, una pausa artistica (artificiale?) incontra una pausa di riflessione (naturale?), la precisione di una partitura testuale incontra l’imprevedibilità di un’improvvisazione musicale. Un unico spettacolo per due testi diversi, due performance, due monologhi lontanissimi in tutto, che, giocati uno di seguito all’altro come in un dialogo (così Handke ha concepito il suo testo, ancora mai rappresentato in Italia: come un’eco, una risposta al famoso testo di Beckett), permettono un confronto su potere, sovranità narrativa, memoria e trasfigurazione fittizia, dove i confini tra realtà e rappresentazione si confondono.
Chi avrà l’ultima parola? Ma soprattutto: è davvero necessario che qualcuno ce l’abbia?
Note di regia
“Personaggio” vs “persona”, “recitazione” vs “performance”, “perfezione” vs “esplorazione”, “partitura” vs “improvvisazione”…
Il formidabile meccanismo ad orologeria, l’incredibile macchina celibe creata da Beckett e l’eco postdrammatica di Handke al testo di Beckett, portati a confronto diretto, mettono in dialogo due mondi: virtuosismo, negazione del mondo e controllo maniacale incontrano voglia di vivere, coraggio di sbagliare e appassionata indignazione. L’ego-shooter Krapp viene smontato poco a poco dalla sua “eco”. La donna senza nome che Krapp evoca ai margini della propria ossessiva riproduzione/ripetizione prende finalmente la parola nel testo di Handke, nel qui e ora che attori e spettatori condividono, portando alla luce e rivelando la rigidità degli schemi in cui tutti, e non solo Krapp, siamo intrappolati.
Abbiamo creato una messa in scena che, come un gioco di scatole cinesi, prima restringe e concentra l’attenzione attraverso l’estrema riduzione dei mezzi teatrali della prima piéce, per poi allargare e quasi “disfare” lo spazio della visone e dell’ascolto nella performance aperta all’improvvisazione vocale e musicale dei due performer, attrice e musicista, della seconda.
Attraverso due differenti modi dell’agire teatrale, si rendono così visibili conflitti di potere, narrazione e finzione. Come funziona una verità faccia a faccia con un’altra?
Come nasce un dialogo? Chi avrà l’ultima parola? L’attore di Beckett o la donna senza nome di Handke? Ed è davvero necessario che qualcuno abbia l’ultima parola?
Quale possibilità si nasconde in questa persona, che dopo aver ascoltato nell’ombra l’ennesima ripetizione di Krapp, prende finalmente la parola? È davvero la possibilità di una nuova narrazione della realtà o semplicemente il suo riverbero, la sua “eco”?
Il “piccolo dramma” di Handke è un capovolgimento della logica che governa il “gran teatro del mondo”, o semplicemente un altro punto di vista su quello stesso “gran teatro”? “Cuore” e “cambiare posizione”, in arabo, hanno la stessa radice, dirà la donna senza nome. Non è abbastanza, forse, ma è un inizio.
Sola in scena, seduta su un alto piedistallo come un oggetto da esposizione, la “buona madre” inizia il suo discorso dichiarando la propria intenzione di andarsene. Il suono, il tempo, la vita, incalzano. Se ne andrà davvero? C’è forse vita, per lei, come persona, come donna, come attrice, al di fuori dello sguardo altrui? Che possibilità c’è di un’esistenza veramente umana, se non quella che si crea nel discorso tra simili? La lotta per esserci, per essere, per esserere riconosciuta, per trovare un proprio “ruolo” e spazio nel mondo, di questo personaggio, di questa persona, ci riguarda tutti da molto vicino.
„Seduta, statuaria, su un alto scranno, il volto imbiancato, il vestito completamente nero, Lea-Madre, fragile e potentissima, prende vita al ritmo regolare di un battito, di un beat, di un carillon esistenziale che schiude la narrazione. […] Un lavoro rigoroso, con squarci di luce che moltiplicano l’immagine della donna in infinite ombre; con una musica che asseconda, commenta, smentisce il racconto; con quel corpo, piazzato sull’altare della vita, che sa dire verità inascoltabili. Bellissimo“.Andrea Porcheddu, glistatigenerali.com
Ashes to Ashes
Ashes to Ashes non ha né inizio né fine, non ha appigli, come il suo protagonista si arrotola su sé stesso in cerca di punti di riferimento, ma non trova che fumo. Le parole e le frasi emergono e affondano di nuovo, fatte a pezzi, smembrate, ritornano all’improvviso e si ripetono ossessivamente, in un moto circolare senza speranza di soluzione. L’inizio si perde nella mancanza di memoria, la fine nella mancanza di speranza. “La nostra casa è in fiamme” e noi non sappiamo nemmeno più come raccontare come siamo arrivati fin qui.
(für italienisch und weitere Infos bitte nach unten scrollen – per l’italiano e ulteriori notizie scrollare verso il basso)
DAS LETZTE WORT
Beckett und Handke von Barletti/Waas
14. März, 20:00; 15. März Sa, 20:00; 16. März So, 20:00
„Dieser reduzierteste und dabei ungewöhnlichste Krapp fasziniert bis zum letzten Moment (…) Barletti gibt große Kraft. Barletti/Waas’ fünfte Inszenierung eines Handke-Stücks ist die schönste, weil auch ihre beziehungsreichste.”
Thomas Irmer/Theater der Zeit
“The one staged by the two, with the important aid of Luca Canciello’s beautiful live music, is a performance that is profound, intense and at times perturbing, creatively enigmatic in the etymological sense for which the enigma is the very answer entrusted to us to be revealed, it is truth in its most sincere and human form.”
Die Konfrontation von zwei konträren Sprachkunstwerken – Samuel Becketts perfektem Uhrwerk in „Das letzte Band” und Peter Handkes postdramatischem Echo darauf „Bis dass der Tag euch scheidet oder Eine Frage des Lichts” – ist ein Dialog zwischen zwei Welten: Virtuosität, Weltverneinung und manische Kontrolle treffen auf Lebensfreude, Mut zum Irrtum und leidenschaftliche Empörung. Charakter versus Person, Schauspiel versus Performance, Perfektion versus Improvisation. Wer hat das letzte Wort?
Zwei Texte, die in allem weit voneinander entfernt sind, stehen in zeitlicher Verzögerung in Dialog miteinander: Krapps Ego wird zerlegt von seinem weiblichen Widerhall, der namenlosen Frau, die er selbst im Verlauf seiner obsessiven Wiederholungen heraufbeschworen hat. Welche Möglichkeiten des Perspektivwechsels öffnet uns diese Frau, die, nachdem sie Krapp im Schatten zuhörte, endlich das Wort ergreift? Ist es wirklich notwendig, dass jemand das letzte Wort hat? „Im Arabischen haben ,Herz‘ und ,Position wechseln‘ die gleiche Wurzel”, sagt sie.
Mit Lea Barletti / Werner Waas / Luca Canciello Regie Barletti/Waas Sound Design / Live-Musik Luca Canciello Bühne Ivan Bazak Regieassistent Paolo Costantini Produktion Barletti/Waas / TPE Fondazione Teatro Piemonte Europa / Fondazione Luzzati Teatro della Tosse/Genua / Florian Metateatro/Pescara Unterstützung Goethe Institut Culture Moves Europe / CSS Teatro stabile di innovazione del FVG im Rahmen des Residenzprogramms in der Villa Manin / Itz Berlin e.V. / TD Berlin
Lea Barletti und Werner Waas haben als Compagnie Induma Teatro zusammengearbeitet und waren an der Entstehung des multidisziplinären Kulturzentrums Manifatture Knos in Lecce, Italien, beteiligt, bevor sie 2012 die Compagnie Barletti/Waas gründen und sich vor allem mit den Arbeiten von Peter Handke beschäftigen. Zahlreiche gemeinsame Arbeiten und Projekte u.a. am TD Berlin Selbstbezichtigung/Handke, Rom/Berlin 2013; Kaspar/Handke, Berlin 2017. Ashes to Ashes/Barletti, Berlin 2019, Monologo della buona madre/Barletti, Rom 2020; Antigone/Sophokles, Berlin 2020. Ihr Handke-Repertoire wird durch die Inszenierung Über die Dörfer, Berlin 2021, bereichert. www.barlettiwaas.eu
L’ULTIMA PAROLA
Beckett e Handke di Barletti/Waas
14 – 15 – 16 marzo ore 20
Il confronto tra due diversi e opposti capolavori, tra il perfetto meccanismo ad orologeria de “L’ultimo nastro di Krapp” di Beckett e la sua “eco” postdrammatica ”Finché il giorno non vi separi ovvero una questione di luce” di Handke, è un dialogo tra due mondi: virtuosismo, negazione del mondo e controllo maniacale, incontrano vitalità, coraggio di sbagliare e indignazione appassionata. Personaggio vs persona, recitazione vs performance, perfezione verso improvvisazione. Chi avrà l’ultima parola?
Due testi lontani in tutto e per tutto, si incontrano e dialogano in differita: l’ego di Krapp viene contestato dalla sua eco femminile, “la donna senza nome”, da lui stesso evocata nella propria ossessiva ripetizione. Quale possibie cambio di prospettiva ci offre questa donna che, dopo aver ascoltato nell’ombra il monologo di Krapp, prende finalmente la parola? Ed è davvero necessario che qualcuno abbia l’ultima parola? In arabo, “cuore” e “cambiare posizione”hanno la stessa radice, dice la donna.
Con Lea Barletti / Werner Waas / Luca Canciello Regia Barletti/Waas Sound Design / Musiche originali dal vivo Luca Canciello Scene Ivan Bazak Assistente alla regia Paolo Costantini Produzione Barletti/Waas / TPE Fondazione Teatro Piemonte Europa / Fondazione Luzzati Teatro della Tosse/Genova / Florian Metateatro/Pescara Con il sostegno di Goethe Institut Culture Moves Europe / CSS Teatro stabile di innovazione del FVG nell’ambito del programma di Residenze a Villa Manin / Itz Berlin e.V. / TD Berlin
Lea Barletti e Werner Waas lavorano insieme da più di vent’anni, dapprima come Compagnia Induma Teatro, con la quale sono stati tra i fondatori del Centro culturale multidisciplinare Manifatture Knos (Lecce), in seguito, a partire dal 2012, come Barletti/Waas, dedicandosi soprattutto a lavori di drammaturgia contemporanea, in particolare di Peter Handke. Numerose le loro produzioni, alcune strutturate in maniera bilingue, tra le quali ricordiamo “Autodiffamazione” di P. Handke (2013), “Monologo della buona madre” (2016), “Kaspar” di P. Handke (2017) , “Ashes to ashes” di L. Barletti (2019), ,”Antigone” di Sofocle (2020), “Attraverso i villaggi” di P. Handke (2021), “Parla, Clitemnestra!” (2022) www.barlettiwaas.eu
Weitere Aufführungsdaten / Prossime date
27. – 30. März (27 – 30 marzo) Monologo della buona madre + Ashes to Ashes di Lea Barletti, Teatro Basilica, Roma
10. + 11. Mai (10 – 11 maggio) Parla, Clitemnestra! di Lea Barletti, Spintime, Roma
19. – 31. Mai (19 – 31 maggio) L’ultima parola (Das letzte Wort) di Beckett/Handke, Teatro Astra, Fondazione TPE, Torino
Auf Einladung des PushPush Arts Centers in Atlanta arbeiten wir vom 5. bis 15. Oktober mit Künstlern aus Atlanta/USA an unserer neuen Produktion “Medea-Prozess”