Handke am TD, Berlin 16.-19. Januar, 20 Uhr

Am 16. und 19. Januar spielen wir erneut in Berlin unsere Produktion von “Kaspar” (with english surtitles)

Am 17. Januar zeigt der Theaterdiscounter einen Leseabend unter dem Titel “Handkebezichtigung – Verleidung des Nobelpreises im O-Ton”

Am 18. Januar zeigen wir erneut “Selbstbezichtigung/Autodiffamazione”, zweisprachig Italienisch/Deutsch (with english surtitles)

Beginn ist jeweils um 20 Uhr, Kartenvorbestellung unter: +49 (30) 28 09 30 62 weiter infos unter: http://www.theaterdiscounter.de/stuecke/handke

KASPAR

Kann man einen Menschen durch Sprechen, durch eine Sprechfolterung – wie Handke es ausdrückt – zu einer Identität bringen? Am Anfang ist Kaspar eine Art autistisches Wesen mit einem unmittelbaren und grenzenlosen Bezug zu allem, was ihn umgibt. Am Ende ist Kaspar in die Wirklichkeit übergeführt und weiß auch, was er dabei verloren hat.
Auf dieser Geschichte beruht alles, was wir Bewusstsein nennen. Empfindungen und Worte passen nicht zusammen, man kann den Worten nicht trauen, kann sich höchstens in Sätzen zurechtfinden, dem eigenen Misstrauen nachspüren und entdecken, dass es immer weitergeht. Das Stück zeigt, wie jemand durch Sprechen zum Sprechen gebracht werden kann. Am Ende sind wir alle gleich und viel näher beisammen als wir das so gemeinhin behaupten würden. Wir sind alle Kaspar – man muss sich nur die Zeit nehmen, genau hinzuhorchen.
Lea Barletti und Werner Waas spielen dieses Spiel mit offenen Karten und lassen sich bei dieser Folterung zusehen, die eigentlich ein Weg ins Ungewisse ist. Die Frage ist hier auch: Wer manipuliert hier wen? Wer braucht wen zum Überleben? Wer ist wer und vor allem, warum?

AUTODIFFAMAZIONE/SELBSTBEZICHTIGUNG

Was für einen Unterschied macht es, ob man eine Aktion ausgeführt hat oder nicht, ob man “persönlich“ einen gewissen Satz ausgesprochen hat oder nicht? Peter Handkes Text ist eine aufreibende und gnadenlos das ganze Leben umfassende Selbstreflexion, der sich das Künstlerduo Barletti/Waas auf der Bühne ungeschützt aussetzt. Die kraftvolle Befragung der eigenen Erfahrungen wirkt eindringlich ausgesprochen unmittelbar auch aufs Publikum.

Ohne Ablenkung von Bühnenbild, Handlung oder gar Kostüm zeigt die Inszenierung, was Sprache ist und sein kann. Peter Handkes Text entfaltet jenes provokante Gedankenpotenzial, das die Gegenwart braucht. Ein Gegenmittel gegen Flüchtigkeiten, Oberflächlichkeiten, generelles Lärmempfinden.

4 dicembre 2019, auditorium Vallisa, Bari, “Monologo della buona madre” di Lea Barletti

(Foto: Luciano Onza)

Sul testo

“Monologo della buona madre” affronta uno degli ultimi Tabù della società occidentale: quello della maternità. Cosa vuol dire essere una “buona madre”? Quale madre non si è sentita, almeno una volta, inadeguata e insicura? E se un giorno si dovesse scoprire di non corrispondere, o di non voler corrispondere, al modello di “buona madre” vigente e richiesto? Di non essere adatta al ruolo così come è stato scritto? E da chi è stato scritto, questo ruolo, e per chi? E perché non è possibile riscriverlo? Essere “Madre” è un ruolo, ma un ruolo che non può essere assunto nella stessa maniera da ogni donna. Ci sono tanti modi di essere madri quante donne ci sono che lo diventano. E ci sono tanti modi per essere una buona madre. Ma questo non te lo dice nessuno, prima, e nemmeno durante: è una cosa che si scopre da sole, dopo, e dolorosamente, sulla propria pelle, a costo di enormi sensi di colpa, a costo di errori, passi falsi, dubbi, fallimenti. E a costo di sogni, tempo, energia, amore: a costo della vita.

Cosa resta? Il dubbio.

Ma „Monologo della buona madre“ è anche una storia di „vocazione“, la storia di una vocazione artistica e del faticoso percorso intrapreso per trovarle un posto nel mondo, la storia di qualcuno che, attraverso e nonostante mille inciampi, dubbi e fallimenti, sente la necessità forte e reale di trovare una propria lingua, e per suo mezzo compiere un atto che dia nascita e forma, a suo modo, ad un mondo: un atto di creazione artistica. Un’utopia, piccola e concreta.

Cosa resta? Il desiderio.

“Monologo della buona madre” è infine la storia di un corpo a corpo: un corpo a corpo di una donna e di un‘artista  con se stessa ed il proprio corpo, appunto, con la propria coscienza, con il proprio ruolo di madre, con i figli, con l’immagine di sé, con il proprio essere artista, con i propri modelli dati, con le aspettative proprie e altrui, con la propria inadeguatezza, con la propria vocazione, con la propria fallibilità, con la propria creatività, con il tempo, con la vita, con la lingua, con l’amore.

Cosa resta? Il corpo.

Una donna, da sola in scena. Seduta su un piedistallo, come un oggetto da esposizione o un monumento: „Buona Madre / Tecniche e materiali misti“, recita la targa applicata sul piedistallo. Durante il suo monologo faranno la loro apparizione in scena, come altrettanti oggetti da esposizione/testimoni, il padre/marito, alcuni oggetti quotidiani, delle fotografie.

La donna inizia il suo discorso dichiarando la propria intenzione di andarsene. Non se ne andrà, perché non c’è vita, per lei, come persona e come attrice, al di fuori dello sguardo altrui. Perché non c’è mondo se non quello che si crea nel discorso tra simili, e il teatro è questo discorso, come bene avevano capito i greci. Il mondo, la vita, è quello che succede tra le persone mentre si parlano: quello che succede tra l’attore e lo spettatore. Il mondo è qui, è adesso, è il teatro.

Cosa resta? Il teatro.

23. Nov 2019, Metatheater in Moosach bei München, “Arkadia” von Herbert Achternbusch

Bist du schon tot? (Foto: P.Costantini)

„Bist du schon tot?“ frägt Alkibiades unvermittelt seinen Freund und Lehrer Sokrates auf ihrer Reise von Athen nach Olympia. Zu diesem Zeitpunkt sind beide wohl schon lange tot. Es ist nämlich ihre letzte Reise. Aber das Denken geht noch weiter, zersetzt unerbittlich alles, was ihm über den Weg läuft, radikal, unvorhersehbar. In seinem letzten veröffentlichten Text lässt Achternbusch dem Denken in einer Landschaft des Todes noch einmal freie Zügel, lässt es sich in die Luft vorantreiben, bis hin zur Unverständlichkeit, zur Selbstauflösung, zum Erlöschen des Worts in der schwarzen Finsternis. Eine Reise ins Nichts mit Göttern, Denkern, Tieren, Wolken, Bauten, Flüssen und viel Tee.

20 + 21 Nov 2019, Monologfestival im TD, Berlin – “Ashes to Ashes” von Lea Barletti, Uraufführung

eine postapokalyptische Welt, ein explodiertes Bewusstsein, eine Seele in Flammen, ein Geschöpf aus Rauch. (Foto: Portage)

Ashesto Ahses spricht von einer inneren Landschaft, die gemeinsam mit der Landschaft draußen in Flammen aufgeht. Von einem verzweifelten Sich-Suchen inmitten des Rauchs. Inmitten einer entstehenden Wüste. Im Vergessen. Unsere Kinder werden eine andere Welt kennenlernen, eine andere Landschaft. Was hier verbrennt, ist auch unsere Erinnerung und mit ihr die Vergangenheit und die Hoffnung und mit ihr die Zukunft. Unsere Lungen brennen. Der Rauch verdunkelt den Himmel. Auch das ist keine Metapher.

Tausende Hektar Wald werden zu Asche. Eine Mondwüste tritt an die Stelle jener Landschaften, die seit jeher unsere Vorstellungskraft und unsere Erinnerung bevölkern: riesige Areale liegen verwüstet in Asche, anstatt der grünen Weiten der Wälder des Amazonas und Sibiriens. Asche legt sich auch auf das Eis und den Schnee der Arktis. Die Erinnerung der Welt löst sich in Rauch auf.


Spiel Werner Waas Text Lea Barletti Regie Barletti/Waas Kostüm Jane Saks Musik Luca Canciello Assistenz Paolo Costantini Produktion Barletti/Waas Koproduktion Monologfestival 2019 / Theaterdiscounter Unterstützung Itz Berlin e.V.

15.+16. nov 2019, teatro Quarticciolo, Roma, Bonn Park “Tristezza & Malinconia” e “Il ringhio della via lattea”

Narratrice: Come ti si può rendere felice, George?
George: Vorrei tanto morire. Nella conca di sabbia in cui sono nato. Con vista sul mare. In pace e al tramonto.
Narratrice: Purtroppo non è possibile.
George: Okay.

C’era questa tartaruga alle Galapagos chiamato Lonesome George. Fu l’ultimo della sua specie. Non ha più nulla da fare. Non biologicamente perché non c’è nessuno con cui riprodursi né politicamente o né per qualsiasi altra cosa. Solo due settimane dopo che Bonn Park ha iniziato la scrittura di questo testo, nella vita reale Lonesome George è morto.

Nel testo invece George vorrebbe tanto morire, ma questo appunto non è possibile: così almeno gli dice la sua compagna in scena, nonché narratrice e demiurga. E’ dialogando con lei che George fornisce informazioni su di sé e sulla sua vita lunga quanto il mondo, che intraprende tentativi di nuovi esordi, nuovi accoppiamenti forzati, nuovi viaggi, mentre cambia forma e identità o contempla ripetutamente favole eterne di principi e principesse o si abbandona ad osservazioni filosofiche che girano su se stesse. Questo racconto parla di tempo, di mondo, di temi caldi, di amore, di odio, di lacrime, di tutto.

Forse si tratta di un elogio della depressione, forse il tutto è un depressivo divertissement o un depressivum filosofico. Certo è che mentre George traccia i suoi sentieri, il tempo passa e apparentemente non succede nulla.  E’ un ritratto della nostra comune apatia tutta contemporanea dell’essere, del disincanto di noi animali umani svagati e filosofici perché coscienti, fin troppo, della nostra innata precarietà. Una vera e propria specie in estinzione.

Stillleben mit Schauspielern von Fabrizio Sinisi am 2.Nov. 2019 um 20.00 im Haus der Statistik am Alexanderplatz (with english surtitles)

„Sie schauspielern, immer. Und keine Geste, kein Austausch unter ihnen, die nicht Konvention wäre … Alles Schauspieler, diese Menschen, und von einer niedrigen, totalen Art von Spiel: wie im Fegefeuer des Überlebens.”

Mit  Lea Barletti, Werner WaasRegie Barletti/Waas, Mitarbeit Paolo Costantini (Produktion im Rahmen von Fabulamundi – Playwriting Europe in Zusammenarbeit mit dem Itz Berlin e.V.)

Was bleibt von uns, jenseits unserer schon vorgeschriebenen Rollen? Gezeigt wird die „Leere im Kosmos“, die absolute Vereinzelung, der Stillstand und Tod im Leben. Ein Mann und eine Frau erkennen sich, vor dem Hintergrund von Venedig, einer zur Schlacht ausufernden Demonstration und eines ermordeten Dichters, einer von vielen, die aus Verzweiflung einen gewaltsamen Tod gesucht haben. Wir werden Zeugen einer Bewusstwerdung und eines Versuchs, absolut ehrlich zu sein, vor sich und den anderen.
Ein radikaler poetischer Akt.