Trailer di “Parla, Clitemnestra!” di Lea Barletti, Udine, Villa Manin, luglio 2020, anteprima nazionale al Todi Off Festival il 3 settembre

Barletti/Waas
 PARLA, CLITEMNESTRA!
(se di parole fosse fatto il mondo)  di Lea Barletti

IMG-4781.JPG

(ph.Francesca Del Guercio)
con Gabriele Benedetti e Simona Senzacqua

Regia Barletti/Waas
dur. 1h 20’

Anteprima nazionale nell’ambito del Todi Off #4 a cura di Teatro di Sacco

GIOVEDì 3 Settembre 2020 ore 19:00presso TEATRO NIDO DELL’AQUILA
ingresso gratuito

Organizzatrice
BiancaMaria Cola: 3206236109 – bianca@teatrodisacco.itUfficio Stampa
Nicola Conticello: nicola.conticello@yahoo.it – 3271428003, Marco Giovannone 3470370102

Spettacolo prodotto grazie al contributo delle residenze artistiche presso:Florian Metateatro Centro di Produzione Teatrale (Pescara), CSS (Udine), Fivizzano27 (Roma), Matemù (Roma)

Foto di scena/riprese video: Francesca del Guercio

Le donne nella tragedia greca sono, tranne poche eccezioni, sottomesse e marginali.
Oppure ribelli, ma allora folli e pericolose, furie vendicatrici incontrollabili. La loro
sembra una condizione senza via di uscita: o si adeguano ad una società che le vuole
inferiori e sottoposte, o vi si oppongono, ma in maniera talmente violenta o
comunque talmente eccezionale che da tale società vengono comunque espulse,
rigettate come corpo estraneo: da marginali ad emarginate. Sembra essere il metodo
con il quale la rappresentazione patriarcale perpetra se stessa e il proprio potere: la
donna che esce dal seminato, che si fa artefice del proprio destino, che si fa pari
all’uomo per coraggio e violenza, è per ciò stesso mostruosa e, soprattutto,
pericolosa, per la famiglia e per la società: per la Polìs. Va condannata, eliminata,
bandita. Perché non è, come diceva Aristotele, nella natura delle cose che una donna
si renda pari all’uomo, in coraggio, forza, indipendenza.
“Parla, Clitemnestra!” nasce dall’esigenza ancora oggi più che mai urgente di un
diverso pensiero sul potere, sul suo uso ed abuso, sui rapporti di forza tra i sessi e tra
gli esseri umani in generale.

Barletti/Waas (Lea Barletti e Werner Waas) si sono conosciuti molti anni fa a Roma.
Da allora vivono e lavorano insieme, prima a Roma, poi a Monaco di Baviera, quindi
a Lecce e attualmente a Berlino. Sono solitamente sia interpreti che registi dei loro
spettacoli, Barletti da qualche anno anche autrice. Per la prima volta dalla nascita del
loro sodalizio, nello spettacolo Parla, Clitemnestra! non è in scena nessuno dei due,
avendo scelto di affidare il testo di Barletti, e la testimonianza della loro ricerca
intorno alla parola in quanto azione scenica, agli attori-autori Gabriele Benedetti e Simona Senzacqua

Zwei Performances beim Festival Um-Polen im Haus der Statistik

27.8. und 28.8. um 18 Uhr “Lost in language” Performance von Lea Barletti und Elzbieta Chovaniec

28.8. “Eine unendliche Geschichte” von Artur Palyga, szenische Lesung von und mit Werner Waas und Daniel Wittkopp und mit Frank Bergner und Harald Wissler

Die Prozession folgt dem hybriden Leichenwagen unter den Blicken der sozialistischen Plattenbauten als heilige Fahrt über mehrere Stationen. Begleitet von Gilgamesch und einer weihrauchgeschwängerten mobilen Bar mleczny wird das Gewisper der Gespenster trotz der Schallplatte von The Shadows (voll aufgedreht) und dem Żywiec in der Faust bis zum letzten Akt immer lauter. Und der Gott ist gegen uns. Dann: Szene 8 unvollendet. Versus populum. Betet für uns!

28 febbraio – 1 marzo, Teatro Torlonia, Roma, “Monologo della buona madre” di Lea Barletti

http://www.teatrodiroma.net/doc/6791/monologo-della-buona-madre

Trailer: https://vimeo.com/394607813

(Foto: Luciano Onza)

Sul testo

“Monologo della buona madre” affronta uno degli ultimi Tabù della società occidentale: quello della maternità. Cosa vuol dire essere una “buona madre”? Quale madre non si è sentita, almeno una volta, inadeguata e insicura? E se un giorno si dovesse scoprire di non corrispondere, o di non voler corrispondere, al modello di “buona madre” vigente e richiesto? Di non essere adatta al ruolo così come è stato scritto? E da chi è stato scritto, questo ruolo, e per chi? E perché non è possibile riscriverlo? Essere “Madre” è un ruolo, ma un ruolo che non può essere assunto nella stessa maniera da ogni donna. Ci sono tanti modi di essere madri quante donne ci sono che lo diventano. E ci sono tanti modi per essere una buona madre. Ma questo non te lo dice nessuno, prima, e nemmeno durante: è una cosa che si scopre da sole, dopo, e dolorosamente, sulla propria pelle, a costo di enormi sensi di colpa, a costo di errori, passi falsi, dubbi, fallimenti. E a costo di sogni, tempo, energia, amore: a costo della vita.

Cosa resta? Il dubbio.

Ma „Monologo della buona madre“ è anche una storia di „vocazione“, la storia di una vocazione artistica e del faticoso percorso intrapreso per trovarle un posto nel mondo, la storia di qualcuno che, attraverso e nonostante mille inciampi, dubbi e fallimenti, sente la necessità forte e reale di trovare una propria lingua, e per suo mezzo compiere un atto che dia nascita e forma, a suo modo, ad un mondo: un atto di creazione artistica. Un’utopia, piccola e concreta.

Cosa resta? Il desiderio.

“Monologo della buona madre” è infine la storia di un corpo a corpo: un corpo a corpo di una donna e di un‘artista  con se stessa ed il proprio corpo, appunto, con la propria coscienza, con il proprio ruolo di madre, con i figli, con l’immagine di sé, con il proprio essere artista, con i propri modelli dati, con le aspettative proprie e altrui, con la propria inadeguatezza, con la propria vocazione, con la propria fallibilità, con la propria creatività, con il tempo, con la vita, con la lingua, con l’amore.

Cosa resta? Il corpo.

Una donna, da sola in scena. Seduta su un piedistallo, come un oggetto da esposizione o un monumento: „Buona Madre / Tecniche e materiali misti“, recita la targa applicata sul piedistallo. Durante il suo monologo faranno la loro apparizione in scena, come altrettanti oggetti da esposizione/testimoni, il padre/marito, alcuni oggetti quotidiani, delle fotografie.

La donna inizia il suo discorso dichiarando la propria intenzione di andarsene. Non se ne andrà, perché non c’è vita, per lei, come persona e come attrice, al di fuori dello sguardo altrui. Perché non c’è mondo se non quello che si crea nel discorso tra simili, e il teatro è questo discorso, come bene avevano capito i greci. Il mondo, la vita, è quello che succede tra le persone mentre si parlano: quello che succede tra l’attore e lo spettatore. Il mondo è qui, è adesso, è il teatro.

Cosa resta? Il teatro.

21 febbraio, Forlì, teatro Felix Guattari, Monologo della buona madre di Lea Barletti, ore 21

http://www.masque.it/STAGIONE19-20/BARLETTI-WAAS.html

Sul testo

“Monologo della buona madre” affronta uno degli ultimi Tabù della società occidentale: quello della maternità. Cosa vuol dire essere una “buona madre”? Quale madre non si è sentita, almeno una volta, inadeguata e insicura? E se un giorno si dovesse scoprire di non corrispondere, o di non voler corrispondere, al modello di “buona madre” vigente e richiesto? Di non essere adatta al ruolo così come è stato scritto? E da chi è stato scritto, questo ruolo, e per chi? E perché non è possibile riscriverlo? Essere “Madre” è un ruolo, ma un ruolo che non può essere assunto nella stessa maniera da ogni donna. Ci sono tanti modi di essere madri quante donne ci sono che lo diventano. E ci sono tanti modi per essere una buona madre. Ma questo non te lo dice nessuno, prima, e nemmeno durante: è una cosa che si scopre da sole, dopo, e dolorosamente, sulla propria pelle, a costo di enormi sensi di colpa, a costo di errori, passi falsi, dubbi, fallimenti. E a costo di sogni, tempo, energia, amore: a costo della vita.

Cosa resta? Il dubbio.

Ma „Monologo della buona madre“ è anche una storia di „vocazione“, la storia di una vocazione artistica e del faticoso percorso intrapreso per trovarle un posto nel mondo, la storia di qualcuno che, attraverso e nonostante mille inciampi, dubbi e fallimenti, sente la necessità forte e reale di trovare una propria lingua, e per suo mezzo compiere un atto che dia nascita e forma, a suo modo, ad un mondo: un atto di creazione artistica. Un’utopia, piccola e concreta.

Cosa resta? Il desiderio.

“Monologo della buona madre” è infine la storia di un corpo a corpo: un corpo a corpo di una donna e di un‘artista  con se stessa ed il proprio corpo, appunto, con la propria coscienza, con il proprio ruolo di madre, con i figli, con l’immagine di sé, con il proprio essere artista, con i propri modelli dati, con le aspettative proprie e altrui, con la propria inadeguatezza, con la propria vocazione, con la propria fallibilità, con la propria creatività, con il tempo, con la vita, con la lingua, con l’amore.

Cosa resta? Il corpo.

Una donna, da sola in scena. Seduta su un piedistallo, come un oggetto da esposizione o un monumento: „Buona Madre / Tecniche e materiali misti“, recita la targa applicata sul piedistallo. Durante il suo monologo faranno la loro apparizione in scena, come altrettanti oggetti da esposizione/testimoni, il padre/marito, alcuni oggetti quotidiani, delle fotografie.

La donna inizia il suo discorso dichiarando la propria intenzione di andarsene. Non se ne andrà, perché non c’è vita, per lei, come persona e come attrice, al di fuori dello sguardo altrui. Perché non c’è mondo se non quello che si crea nel discorso tra simili, e il teatro è questo discorso, come bene avevano capito i greci. Il mondo, la vita, è quello che succede tra le persone mentre si parlano: quello che succede tra l’attore e lo spettatore. Il mondo è qui, è adesso, è il teatro.

Cosa resta? Il teatro.

“Kaspar” von Handke in den Cammerspielen, Leipzig, 25. Januar 20 Uhr

Am 25. Januar zeigen wir in den Cammerspielen in Leipzig unsere Inszenierung von “Kaspar”, Beginn ist um 20 Uhr, Kartenvorbestellungen unter: 0341 – 30 67 606

weiter Infos unter: https://www.cammerspiele.de/stueck/kaspar/

KASPARKann man einen Menschen durch Sprechen, durch eine Sprechfolterung – wie Handke es ausdrückt – zu einer Identität bringen? Am Anfang ist Kaspar eine Art autistisches Wesen mit einem unmittelbaren und grenzenlosen Bezug zu allem, was ihn umgibt. Am Ende ist Kaspar in die Wirklichkeit übergeführt und weiß auch, was er dabei verloren hat.
Auf dieser Geschichte beruht alles, was wir Bewusstsein nennen. Empfindungen und Worte passen nicht zusammen, man kann den Worten nicht trauen, kann sich höchstens in Sätzen zurechtfinden, dem eigenen Misstrauen nachspüren und entdecken, dass es immer weitergeht. Das Stück zeigt, wie jemand durch Sprechen zum Sprechen gebracht werden kann. Am Ende sind wir alle gleich und viel näher beisammen als wir das so gemeinhin behaupten würden. Wir sind alle Kaspar – man muss sich nur die Zeit nehmen, genau hinzuhorchen.
Lea Barletti und Werner Waas spielen dieses Spiel mit offenen Karten und lassen sich bei dieser Folterung zusehen, die eigentlich ein Weg ins Ungewisse ist. Die Frage ist hier auch: Wer manipuliert hier wen? Wer braucht wen zum Überleben? Wer ist wer und vor allem, warum?

Handke am TD, Berlin 16.-19. Januar, 20 Uhr

Am 16. und 19. Januar spielen wir erneut in Berlin unsere Produktion von “Kaspar” (with english surtitles)

Am 17. Januar zeigt der Theaterdiscounter einen Leseabend unter dem Titel “Handkebezichtigung – Verleidung des Nobelpreises im O-Ton”

Am 18. Januar zeigen wir erneut “Selbstbezichtigung/Autodiffamazione”, zweisprachig Italienisch/Deutsch (with english surtitles)

Beginn ist jeweils um 20 Uhr, Kartenvorbestellung unter: +49 (30) 28 09 30 62 weiter infos unter: http://www.theaterdiscounter.de/stuecke/handke

KASPAR

Kann man einen Menschen durch Sprechen, durch eine Sprechfolterung – wie Handke es ausdrückt – zu einer Identität bringen? Am Anfang ist Kaspar eine Art autistisches Wesen mit einem unmittelbaren und grenzenlosen Bezug zu allem, was ihn umgibt. Am Ende ist Kaspar in die Wirklichkeit übergeführt und weiß auch, was er dabei verloren hat.
Auf dieser Geschichte beruht alles, was wir Bewusstsein nennen. Empfindungen und Worte passen nicht zusammen, man kann den Worten nicht trauen, kann sich höchstens in Sätzen zurechtfinden, dem eigenen Misstrauen nachspüren und entdecken, dass es immer weitergeht. Das Stück zeigt, wie jemand durch Sprechen zum Sprechen gebracht werden kann. Am Ende sind wir alle gleich und viel näher beisammen als wir das so gemeinhin behaupten würden. Wir sind alle Kaspar – man muss sich nur die Zeit nehmen, genau hinzuhorchen.
Lea Barletti und Werner Waas spielen dieses Spiel mit offenen Karten und lassen sich bei dieser Folterung zusehen, die eigentlich ein Weg ins Ungewisse ist. Die Frage ist hier auch: Wer manipuliert hier wen? Wer braucht wen zum Überleben? Wer ist wer und vor allem, warum?

AUTODIFFAMAZIONE/SELBSTBEZICHTIGUNG

Was für einen Unterschied macht es, ob man eine Aktion ausgeführt hat oder nicht, ob man “persönlich“ einen gewissen Satz ausgesprochen hat oder nicht? Peter Handkes Text ist eine aufreibende und gnadenlos das ganze Leben umfassende Selbstreflexion, der sich das Künstlerduo Barletti/Waas auf der Bühne ungeschützt aussetzt. Die kraftvolle Befragung der eigenen Erfahrungen wirkt eindringlich ausgesprochen unmittelbar auch aufs Publikum.

Ohne Ablenkung von Bühnenbild, Handlung oder gar Kostüm zeigt die Inszenierung, was Sprache ist und sein kann. Peter Handkes Text entfaltet jenes provokante Gedankenpotenzial, das die Gegenwart braucht. Ein Gegenmittel gegen Flüchtigkeiten, Oberflächlichkeiten, generelles Lärmempfinden.

4 dicembre 2019, auditorium Vallisa, Bari, “Monologo della buona madre” di Lea Barletti

(Foto: Luciano Onza)

Sul testo

“Monologo della buona madre” affronta uno degli ultimi Tabù della società occidentale: quello della maternità. Cosa vuol dire essere una “buona madre”? Quale madre non si è sentita, almeno una volta, inadeguata e insicura? E se un giorno si dovesse scoprire di non corrispondere, o di non voler corrispondere, al modello di “buona madre” vigente e richiesto? Di non essere adatta al ruolo così come è stato scritto? E da chi è stato scritto, questo ruolo, e per chi? E perché non è possibile riscriverlo? Essere “Madre” è un ruolo, ma un ruolo che non può essere assunto nella stessa maniera da ogni donna. Ci sono tanti modi di essere madri quante donne ci sono che lo diventano. E ci sono tanti modi per essere una buona madre. Ma questo non te lo dice nessuno, prima, e nemmeno durante: è una cosa che si scopre da sole, dopo, e dolorosamente, sulla propria pelle, a costo di enormi sensi di colpa, a costo di errori, passi falsi, dubbi, fallimenti. E a costo di sogni, tempo, energia, amore: a costo della vita.

Cosa resta? Il dubbio.

Ma „Monologo della buona madre“ è anche una storia di „vocazione“, la storia di una vocazione artistica e del faticoso percorso intrapreso per trovarle un posto nel mondo, la storia di qualcuno che, attraverso e nonostante mille inciampi, dubbi e fallimenti, sente la necessità forte e reale di trovare una propria lingua, e per suo mezzo compiere un atto che dia nascita e forma, a suo modo, ad un mondo: un atto di creazione artistica. Un’utopia, piccola e concreta.

Cosa resta? Il desiderio.

“Monologo della buona madre” è infine la storia di un corpo a corpo: un corpo a corpo di una donna e di un‘artista  con se stessa ed il proprio corpo, appunto, con la propria coscienza, con il proprio ruolo di madre, con i figli, con l’immagine di sé, con il proprio essere artista, con i propri modelli dati, con le aspettative proprie e altrui, con la propria inadeguatezza, con la propria vocazione, con la propria fallibilità, con la propria creatività, con il tempo, con la vita, con la lingua, con l’amore.

Cosa resta? Il corpo.

Una donna, da sola in scena. Seduta su un piedistallo, come un oggetto da esposizione o un monumento: „Buona Madre / Tecniche e materiali misti“, recita la targa applicata sul piedistallo. Durante il suo monologo faranno la loro apparizione in scena, come altrettanti oggetti da esposizione/testimoni, il padre/marito, alcuni oggetti quotidiani, delle fotografie.

La donna inizia il suo discorso dichiarando la propria intenzione di andarsene. Non se ne andrà, perché non c’è vita, per lei, come persona e come attrice, al di fuori dello sguardo altrui. Perché non c’è mondo se non quello che si crea nel discorso tra simili, e il teatro è questo discorso, come bene avevano capito i greci. Il mondo, la vita, è quello che succede tra le persone mentre si parlano: quello che succede tra l’attore e lo spettatore. Il mondo è qui, è adesso, è il teatro.

Cosa resta? Il teatro.

23. Nov 2019, Metatheater in Moosach bei München, “Arkadia” von Herbert Achternbusch

Bist du schon tot? (Foto: P.Costantini)

„Bist du schon tot?“ frägt Alkibiades unvermittelt seinen Freund und Lehrer Sokrates auf ihrer Reise von Athen nach Olympia. Zu diesem Zeitpunkt sind beide wohl schon lange tot. Es ist nämlich ihre letzte Reise. Aber das Denken geht noch weiter, zersetzt unerbittlich alles, was ihm über den Weg läuft, radikal, unvorhersehbar. In seinem letzten veröffentlichten Text lässt Achternbusch dem Denken in einer Landschaft des Todes noch einmal freie Zügel, lässt es sich in die Luft vorantreiben, bis hin zur Unverständlichkeit, zur Selbstauflösung, zum Erlöschen des Worts in der schwarzen Finsternis. Eine Reise ins Nichts mit Göttern, Denkern, Tieren, Wolken, Bauten, Flüssen und viel Tee.